Visita alla Cappella Brancacci a Firenze

La scuola di Francesco organizza due sabati all’anno delle visite guidate in famiglia, bambini con la maestra da una parte e adulti con una guida dedicata dall’altra. Stamattina siamo stati alla Cappella Brancacci, capolavoro artistico con i celeberrimi affreschi di Masaccio e Masolino, ubicata nella Chiesa del Carmine nell’Oltrarno fiorentino.

La storia della Cappella Brancacci

La Cappella Brancacci è stata definita la Cappella Sistina del ‘400 ed è stata realizzata nell’Oltrarno fiorentino, zona di Firenze in cui vivevano gli artigiani. Le famiglie residenti si arricchirono e iniziarono a decorare le Chiese poste al limitare della città di Firenze, gestite da ordini religiosi la cui missione era quella di stare in mezzo ai poveri. Tra queste fu impreziosita la Chiesa del Carmine dalle famiglie benestanti della zona che, a seconda del livello di ricchezza, decidevano le postazioni da decorare iniziando dall’altare, i suoi lati e le cappelle dei transetti. Tra queste la Cappella che i Brancacci vollero dedicare alla storia di San Pietro, nome del capostipite della famiglia, che progettò e pianificò questo capolavoro artistico. Pietro Brancacci però riuscì solo a vedere la struttura architettonica della Cappella non i relativi decori che furono realizzati due generazioni dopo dal nipote Felice, ricco mercante di sete. Scelse il pittore più affermato dell’epoca, Masolino, che fu affiancato dal giovane Masaccio (in realtà si chiamavano entrambi Tommaso che, all’epoca, veniva ridotto in Maso).

La cappella è sopravvissuta a pessime condizioni di degrado in epoche diverse dovute alle altalenanti condizioni economiche dei Brancacci. Nel ‘500 fu preservata dalla poetessa nobile Vittoria Colonna dalla distruzione e poi miracolosamente salvata dall’incendio che nel ‘600 distrusse completamente la Chiesa del Carmine e i soffitti affrescati dal Masaccio. La cappella è stata recentemente restaurata e si può fruire in piccoli gruppi per massimo mezz’ora alla volta (fino a pochi anni fa il tempo massimo di permanenza era di 15 minuti).

Masaccio inizia a lavorare alla Cappella Brancacci all’età di 23 anni ma pochi anni dopo i lavori si interruppero le vicissitudini della famiglia alleata degli Strozzi, sconfitti dai Medici e mandati in esilio. Masolino va lavorare in Ungheria mentre Masaccio, dopo aver atteso invano di ottenere qualche altro soldo per il suo lavoro, si reca a Roma dove a 27 anni muore di peste senza avere il tempo di sviluppare una vera e propria bottega con allievi. Si dovette attendere circa 60 anni che l’artista Filippino Lippi, figlio di Filippo Lippi, frate carmelitano (ebbene si, entrato nell’ordine a 9 anni senza aver la benchè minima vocazione religiosa ma, al contrario, noto dongiovanni che ebbe Filippino e una bambina dal rapporto con una suora molto più giovane di lui) proseguisse e completasse il lavoro iniziato da Masolino e Masaccio. Filippo Lippi imparò a dipingere osservando da fanciullo Masaccio affrescare la Cappella Brancacci.

Gli affreschi della Cappella Brancacci

Si parte da destra in alto col “Peccato originale” di Masolino che raffigura Adamo ed Eva col serpente che li tenta con la mela, simbolo del bene e del male. Notiamo che la differenza tra il corpo dell’uomo è più scuro del corpo diafano della donna che, però, non presenta caratteristiche marcatamente femminili (seno poco sviluppato e fianchi stretti). Adamo ed Eva galleggiano nel prato verde quasi privi di espressione. Ben diversa è la famosissima raffigurazione della “Cacciata dei Progenitori” del Masaccio posta dalla parte opposta della Cappella in cui i corpi sono più simili alla realtà e le espressioni intense (quella disperata di Eva ricorda l’Urlo di Munch). L’angelo li caccia mandandoli sulla terra arida indicando col dito lo sguardo di Gesù presente nell’affresco successivo. L’uomo comunque può salvarsi dalle tentazioni e dal peccato tramite la fede.

La scena successiva è quella di un miracolo di Gesù, sempre del Masaccio, “Il tributo“, un avvenimento minore narrato nel Vangelo di Matteo (Mt 17, 24–27) in cui Pietro chiede a Gesù, nella città di Cafarnao se è legittimo pagare i tributi ai Romani, in presenza dello stesso gabelliere romano (posto nell’affresco per creare profondità). Gesù risponde affermando di rendere “a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio» e indica a a Pietro il vicino lago di Tiberiade in riva al quale troverà un pesce nella cui bocca ci sarà una moneta d’argento con la quale potrà pagare il tributo. Nell’affresco si vede Gesù indicare convinto il lago mentre l’espressione di San Pietro è meno convinta: essendo pescatore mai gli è capitato di trovare una moneta nella bocca di un pesce. In questo caso il tributo è simbolo di quello estremo chiesto da Gesù a San Pietro che è quello di seguirlo sulla Croce.

“Il Tributo” di Masaccio nella Cappella Brancacci a Firenze

Tutte le altre scene sono posteriori alla morte di Cristo. In quella successiva, di dimensione ridotta, San Pietro predica alla folla con alle spalle alcuni carmelitani (La Predicazione di San Pietro di Masolino). La predica è talmente convincente che alcuni di loro, vedi affresco di dimensione ridotta, chiedono di essere battezzati (Il Battesimo dei Neofiti di Masaccio). In quest’ultima è evidente l’anatomia dei corpi, lodata dal Vasari, in cui si vedono corpi nudi durante il battesimo, infreddoliti in attesa del battesimo, intenti a spogliarsi e già battezzati, come dimostrano i capelli bagnati. L’unico errore prospettico della scena è la ciotola con l’acqua rivolta verso l’esterno (probabilmente fatto apposta). Sulla parte destra viene rappresentata “La guarigione dello zoppo e la resurrezione di Tabita” realizzata da Masolino, che non era proprio padrone al 100% della prospettiva, come dimostra qualche linea errata, mentre lo sfondo è assolutamente perfetto, attribuito a Masaccio. I due signori eleganti che passeggiano a metà scena e i sassi tipo presepe appoggiati qua e là sono altri elementi che contribuiscono a dare prospettiva. Nella scena a destra  La guarigione dello zoppo e la resurrezione di Tabita realizzata da Masolino si vede la paura nelle persone che circondano Tabita che è chiaramente morta perchè bianca e già in sudario.

La guarigione dello zoppo e la resurrezione di Tabita di Masolino nella Cappella Brancacci a Firenze

Nei riquadri a destra e a sinistra dell’altare si vedono alcune scene di miracoli operate da San Francesco e affrescate da Masaccio. In quella a destra San Pietro che risana con l’ombra Masaccio riesce a inserire nello spazio ristretto tra muro e altare un primo storpio già in piedi guarito, un secondo che si sta alzando e un altro colpito dall’ombra. I prossimi saremo noi, verso cui il personaggio dell’affresco sta camminando. La città nello sfondo è Firenze e nel restauro è rimasta traccia dell’incendio della Chiesa del Carmine (la fiammata rossa nell’angolo in alto a sinistra). Sul lato opposto il celebre affresco La distribuzione dei beni e la morte di Anania e Saffira opera di Masaccio, che vengono puniti con la morte per non aver messo a disposizione della comunità cristiana tutti i loro averi, nascondendone una parte. Simboleggia l’incapacità di comprare la vita eterna con il denaro, per la quale occorre affidarsi completamente a Dio.

A questo punto finirono i denari a disposizione per decorare la Chiesa per cui Masaccio inizia solalmente la parete con la scena La resurrezione del figlio di Teofilo e San Pietro in cattedra terminata 60 anni dopo da Filippino Lippi. Il miracolo consiste nella resurrezione del figlio morto 14 anni prima di Teofilo. La differente epoca della scena è dimostrata dai volti degli osservatori della scena del miracolo: quelli sulla sinistra sono piuttosto ingenui mentre quelli sulla destra sono perfettamente disegnati perchè furono scalpellati nel momento in cui i Brancacci furono costretti all’esilio e poi rifatti 60 anni dopo da Filippino Lippi. Si tratta dei ritratti dei Brancacci e dei loro alleati. Tra i volti guardano verso di noi Masaccio, scapigliato tra coloro che venerano San Pietro sul trono a Roma (nell’affresco originale aveva il braccio teso a toccarlo) con i committenti di spalle.

La resurrezione del figlio di Teofilo e San Pietro in cattedra (Masaccio e Filippino Lippi) cappella Brancacci a Firenze
La disputa con Simon Mago e la crocifissione di Pietro (Filippino Lippi) nella Cappella Brancacci di Firenze

Il ciclo termina con La disputa con Simon Mago e la crocifissione di Pietro opera di Filippino Lippi, necessaria per concludere il ciclo della vita di San Pietro. Simon Mago si contrapponeva a San Pietro millantando la sua capacità di fare miracoli. Tra questi far volare un idolo davanti all’imperatore che però con il solo segno della croce di San Pietro precipitò a terra rompendosi. Il martirio di San Pietro avvenne subito fuori Roma nei pressi della Piramide al limitare delle mura e, su sua richiesta, fu crocifisso con la testa rivolta verso la terra perchè solo Gesù doveva puntare con la testa verso il Padre. San Pietro non si sentiva degno di morire come Gesù. La tecnica 60 anni dopo è sicuramente migliorata ma nei volti attorno a San Pietro Filippino Lippi ha conferito poco pathos se confrontati con quelli realizzati da Masaccio. Anche qui ci sono due personaggi che si rivolgono al pubblico e sono Filippino Lippi posto sulla destra e Botticelli a sinistra.

Concludono gli affreschi due scene del carcere che Filippino Lippi ha riprodotto nei medesimi colori terrosi della prima, contrapposta, per mantenere coerenza. Una curiosità: la parte bassa degli affreschi, rovinata dalla cera soffiata dal cappellano, è stata riprodotta in rigatino colorato, un restauro conservativo realizzato per non lasciare vuoti ma eliminabile con una spugna all’occorrenza.

Le immagini delle scene della Cappella Brancacci le ho prese da questa pagina di Wikipedia dove ci sono tante altre informazioni e curiosità sulla Cappella e sugli affreschi. E noi attendiamo il nuovo anno scolastico per poter condividere in famiglia alcune delle bellezze artistiche di Firenze, imparandone i segreti e apprezzandone le meraviglie.