La pandemia vista nel 2030

Durante la quarantena ho seguito il percorso “Riconnessione e cura di sè” proposto dalla coach Diana Tedoldi che, previo abbonamento, ha mandato ogni giorno una mail con degli spunti, più o meno impegnativi, per non farsi abbattere dalla quarantena ma, anzi, farsi ritrovare più forte che mai. Alcune cose, lo ammetto, non sono riuscite a seguirle per esempio non ce l’ho fatta a fare mindfullness per oltre 10 minuti al giorno oppure alcune attività che richiedevano il contatto con la natura che non erano proprio adatte a me. Però mi sono dilettata in un esercizio di scrittura creativa e voglio condividere con voi partendo dallo spunto di Otto Scharmer e dalla sua riflessione: “Abbiamo collettivamente creato un mondo che nessuno vuole”. Questo era lo spunto: scrivi un articolo immaginando di essere un giornalista che nel 2030 ricorda questo periodo di Pandemia, e descrive come ne siamo usciti, e il nuovo mondo che ne è nato. Immergiti nella tua visione di futuro, accendi la tua immaginazione, visualizzati nel mondo che vorresti! Ora che lo rileggo mi rendo conto che non sono stata così ottimista come Diana avrebbe desiderato…

La Pandemia vista 10 anni dopo

Ricordi quando ci davamo due bacetti sulla guancia per salutarci? Quando facevamo la coda tutti accalcati per entrare allo stadio, a un concerto o a una mostra? Quando ad uno starnuto rispondevamo “Salute!” invece di girarci dall’altra parte spaventati?

Sono passati 10 anni, mi sembra. Si, era aprile 2020 quando scoppiò l’emergenza COVID-19.

Le mascherine ci sembravano una stranezza da turista asiatico in vacanza. Ora abbiamo tutti in casa le mascherine, di tutti i modelli, da quelle chirurgiche alle più sofisticate FPP2 e PFF3 a quelle fashion disegnate dai migliori stilisti italiani (qui le MonniFaceMask di Faliero Sarti fatte con la seta dei foulard). Le facciamo indossare dalla babysitter appena mette piede in casa, le indossiamo quando andiamo a trovare la nonna o la vecchia zia.

mascherine design madeinItaly
MonniFaceMask di Faliero Sarti pezzi unici in seta e parte dei ricavi vanno in beneficienza

Noi per essere più liberi ci siamo trasferiti in Puglia, a Taranto, dove da quando l’ex-Italsider ex-Ilva e relativo indotto ha chiuso, l’aria è più pulita e la gente è più cordiale. La Lombardia è diventata una regione fantasma, così come la Cina. A Milano e a New York la popolazione è stata decimata dall’inquinamento, terreno ideale per far proliferare i virus. Quello che non è riuscita a fare Greta, l’ha fatto il virus!

Appena diventato maggiorenne, dopo anni di segregazione forzata in casa dei minorenni, mio figlio è riuscito ad iscriversi all’Università in Canada. Ogni giorno studiamo le lingue, tutte le lingue, inglese – francese – spagnolo – tedesco, perchè stiamo pensando di trasferirci anche noi laggiù non appena ci faranno uscire dall’Italia, perché i confini sono ancora chiusi per sicurezza. Quello che non è riuscito a fare Salvini, l’ha fatto il virus!

Qui in Italia stanno ancora discutendo su Didattica A Distanza (DAD) e voti ma i bambini e i ragazzini sono ancora chiusi in casa perché ritenuti – senza alcuna prova scientifica – contagiosi. Dopo una psicoterapia per risolvere i suoi problemi relazionali, visti i suoi alti voti è stato ammesso all’Università straniera. La media eccellente, però, senza nessun compagno con cui vantarsene, a cosa serviva? Lui li avrebbe barattati volentieri con la media del 5,5 e una vita normale, libera, se fosse stato possibile.

L’Italia è un paese bellissimo, si, ma in cartolina. Per vivere è meglio un posto meno bello ma più umano, dove la parola ‘dignità’ sia messa al primo posto delle politiche nazionali. Qui il Governo, incompetente e inefficiente, va avanti a task force fatte di gente autorevole e prestigiosa, che pensa soltanto a far crescere il PIL non la nostra felicità.

Penso alla prima gita che siamo riusciti a fare fuori dai confini italiani. Abbiamo scelto Istanbul, la frenesia, il caos, la gente in movimento, il tepore della primavera, giorni da vivere pienamente quando anni prima eravamo immobili, senza la possibilità di programmare, in una sorta di limbo, in una forma di sopravvivenza più che di vita con la scuola a distanza, i familiari a distanza, gli amici a distanza. Ricordo il primo caffè al bar, il primo invito a pranzo di una ‘congiunta’, il primo invito di un amico a Francesco. Prima dati per scontati, dopo eventi preziosi. Che la pandemia sia servita a questo: a farci capire l’importanza di piccole cose che invece rendono piene le giornate?