Prima la felicità, poi la fotografia secondo Samanta Tamborini

Ho conosciuto e ascoltato la storia di Samanta Tamborini dal vivo, in una delle più emozionanti Fuckup Nights Firenze che ho avuto modo di presentare (questa). Da futuro medico a fotografa, da moglie a mamma single, da persona con i piedi per terra a sognatrice. Una storia che mostra come la felicità non sia quella standard, ma vada costruita anche in modo inusuale pezzo per pezzo, deviando dai binari che portano dritti a destinazione, se non è la destinazione giusta per noi. In questa intervista, racconta anche a voi chi è e di cosa si occupa.

Samanta, chi sei e cosa fai?

Mi chiamo Samanta. Sono una fotografa, una viaggiatrice e una sognatrice.

Mi occupo di fotografia di matrimonio. Ho un family studio nella città in cui vivo, Varese dove fotografo neonati, gravidanze e bambini. L’altra parte del mio lavoro riguarda l’insegnamento della fotografia. Ho insegnato in diverse scuole primarie e secondarie pubbliche e private. Attualmente seguo un laboratorio di fotografia in un Liceo Classico Statale e sono docente all’Istituto Italiano di fotografia di Milano.

Amo viaggiare con mia figlia Martina e non smetto mai di sognare a occhi aperti possibili evoluzioni e progetti della mia vita e del mio lavoro.

Come hai scoperto la fotografia e l’hai trasformata nel tuo lavoro?

Mi sono avvicinata alla fotografia perché ero affascinata da questo linguaggio e dalla sua forza espressiva. Sono passata attraverso la tecnica perchè non si può scrivere se non si ha un buon vocabolario e se non si conoscono le regole grammaticali del linguaggio che si vuole utilizzare. Ma per me la macchina fotografica è sempre stato un mezzo con cui “scrivere”. E scrivere vuol dire tante cose: può voler dire raccontare e raccontarsi, ma anche esprimersi e inventare. Ho frequentato corsi di tecnica base e poi più avanzata in circoli fotografici, corsi di ritratto, di semiotica visiva e linguaggio fotografico…

Ma mai avrei pensato di trasformare la mia passione in una professione. Il mio percorso di studio e programmi lavorativi erano tutt’altri: ho studiato all’Università di Medicina e  Chirurgia. Per fortuna la vita ha più fantasia di noi e in un momento di crisi personale in cui ho messo in discussione la strada che stavo percorrendo senza saper bene quale nuove strade percorrere, degli amici hanno aperto una discoteca e mi hanno chiesto se mi andava di andare a fotografare le loro serate. Lì ho scoperto di essere brava e che quel lavoro mi piaceva. Hanno iniziato a chiamarmi per altri lavori e ho capito che quella poteva diventare la mia professione.

Mi sono iscritta a una scuola di fotografia seria (IIF di Milano), ho aperto la partita IVA, ho abbassato la testa e ho iniziato a lavorare duro per colmare il divario fra me e il mercato. E’ andata bene.

Dal saper fare al condividere: qual è la forza dell’insegnamento?

L’insegnamento per me è stata una conseguenza naturale dell’avere acquisito competenze. Credo fortissimamente che la fotografia sia cultura. Che non si possa prescindere dallo studio e dalla competenza per essere fotografi, anche se non esistono percorsi istituzionali riconosciuti dal MIUR e anche se di fatto per fare questa professione e dire di essere fotografi professionisti basta aprire la partita IVA.

Amo e soprattutto rispetto il mio lavoro e ho investito e investo tanto (economicamente e come tempo) nella formazione su me stessa. Per cui per me insegnare è sempre stata la conseguenza naturale per appassionare bambini e ragazzi alla fotografia. Per aiutare adolescenti e giovani a non subire le immagini con cui vengono bombardati, ma a guardare con criticità e profondità. Per permettere a chiunque di divertirsi con la propria macchina fotografica quando sono in vacanza o vogliono fotografare i propri figli al parco.

L’obiezione che mi viene spesso fatta è che insegnando formo nuovi potenziali “concorrenti” e in questo modo vado a saturare un mercato già strapieno e in parte malato. Non ho mai visto l’insegnamento come una minaccia ma come una necessità. L’insegnamento ha la responsabilità di formare professionisti competenti, consapevoli e seri e di evitare, se possibile, il proliferare di fotografi improvvisati, impreparati e incompetenti. L’ignoranza non può essere una scusa se c’è offerta formativa. L’ignoranza non dovrebbe essere una scusa mai, ma sopratutto in questo settore in cui spesso si pensa che per scattare bene non serva conoscere la storia della fotografia o avere buone conoscenze tecniche.

Sono un’idealista e credo che insegnare non peggiori il mercato, anzi lo migliori. Anche quando si insegna ad “amatori”. A ogni corso base che ho fatto, a un certo punto qualcuno ha detto “Ma è molto più difficile di quello che pensavo”.  Quelli sono i “nostri clienti” che prima di fare un corso avevano un’idea diversa sulla complessità del nostro lavoro e che dopo un corso non solo si appassiona di più alla fotografia, ma ne hanno capito la complessità e attribuiscono un nuovo valore all’atto di “fotografare”.

Quali sono stati i progetti per te più soddisfacenti?

Non c’è ambito del mio lavoro che non mi dia soddisfazione. Il mio percorso personale mi ha  ha portata a decidere prima di ogni altra cosa di essere felice. E il mio lavoro viene dopo questa priorità. Ho rifiutato e rifiuto lavori che non vanno in questa direzione e in cui non credo. Lavoro tanto e lavoro sodo ed è importante che tutto quello che faccio mi dia soddisfazione o smetterei di farlo.

Sono soddisfatta ogni volta che soddisfo le aspettative dei miei clienti, quando i miei corsisti mi mandano messaggi di ringraziamento, quando colleghi esprimo apprezzamenti sul mio modo di essere fotografa. Ovviamente non è sempre tutto rose e fiori . Ci sono difficoltà, ci sono errori, ci sono fallimenti e delusioni. Ma in questi casi mi sforzo di non fossilizzarmi sul “Close up” ma di inquadrare le cose anche con un cambio medio-lungo. Non bisogna mai perdere la vista d’insieme. Sbaglia solo chi fa.

Puoi raccontarci un tuo sogno nel cassetto?

Ho tanti sogni nel cassetto. Il primo e più importante è quello di mantenere vivo questo entusiasmo e questa gioia nei confronti del mio lavoro. E questo per me vuol dire permettermi di cambiare. Come ho detto prima amo viaggiare e amo insegnare, quindi i miei sogni riguardano la possibilità di mixare queste due cose col mio lavoro o di espanderle. Mi piacerebbe occuparmi di fotografia di viaggio e di organizzare dei viaggi fotografici con workshop fotografici itineranti. Mi piacerebbe collaborare con blog, riviste, format di settore per raccontare attraverso la fotografia la bellezza che si scopre viaggiando (magari con mia figlia al seguito, che è un punto di vista fantastico sul mondo).

Proprio in questo momento ho preso un sogno e lo sto  trasformando in progetto: sto realizzando dei video corsi di fotografia che inizierò a vendere online in primavera.

E per ultimo, siccome io sogno in grande, sogno la mia Accademia di Fotografia.

Grazie Samanta per l’entusiasmo, la passione, la serietà con cui ci racconti il tuo lavoro che fa parte della tua (nuova) vita. Anche noi dovremmo sempre ricordarci di mettere al primo posto la nostra felicità e poi il lavoro e tutto il resto. In bocca al lupo per il tuo sogno nel cassetto, il numero 1, quello di legare i viaggi alla fotografia, davvero attuale e interessanti. Se volete approfondire la conoscenza, qui il sito di Samanta Tamborini fotografa. Dal canto mio, spero di rivederti presto!