La creatività stampata 3D di Serena Fanara

Avevo conosciuto Serena Fanara ai tempi di MakeTank (la startup innovativa che ho co-fondato e che amministravo ndr) quando partecipò a uno dei contest DesignWinMake, organizzato in collaborazione con Arredativo. Siamo poi rimaste in contatto via Facebook e mi è venuta la curiosità di scoprire come si sono evoluti i suoi progetti – ricordo le belle lampade a forma di piante grasse stampate 3D in mostra a Source – negli anni. Detto, fatto: ecco l’intervista.

Raccontaci in breve chi è Serena Fanara

Sono laureata in architettura e ho approfondito i miei studi in bio-architettura e progettazione del verde. Proprio la mia passione per i materiali naturali, la botanica e la cura dell’ambiente in genere, mi ha portato a definire il mio percorso creativo e di vita. Appassionata di arte e design già durante il periodo universitario, ho cominciato a creare e vendere i miei prodotti di illuminazione e a creare installazioni per eventi e spettacoli. Nel 2015 ho creato il mio brand, SeFa Design by Nature, un marchio che raccoglie prodotti di arredo, illuminazione e complementi, accomunati dall’uso esclusivo di materiali ecologici innovativi e dall’unione tra manifattura digitale e finitura artigianale. Dal 2015 collaboro con l’associazione Sarpi Bridge Oriental Design Week, con la quale organizzo eventi legati al design tra Asia e Italia.

Come nasce la tua passione per il design?

Ho iniziato a creare prodotti d’arredo quasi per caso: durante l’università a Firenze ero molto attiva in ambito artistico con diversi collettivi e realizzavo grandi installazioni per spettacoli ed eventi. Molti, vedendo le installazioni, mi hanno suggerito di riproporre in dimensioni ridotte le stesse forme e di trasformarle in arredi, soprattutto lampade. La mia formazione, anche se da architetto e non da designer, mi ha molto aiutata perché avevo già ottima padronanza dei software di modellazione 3D. La passione per il lavoro manuale mi ha dato poi quel quid in più per poter fare tutto in autonomia.

Sia nel progettare le installazioni che nei progetti di arredamento, le forme che maggiormente mi ispirano sono quelle vegetali. Mi piace studiare l’armonia e la complessità delle piante e poi ridisegnarle con una morfologia rinnovata, trasformando quelle forme in arredi. Col mio brand posso dare libero sfogo alla creatività proponendo forme inusuali e creando dei giochi di “fuori scala”, come nel caso di alcune lampade Desert Light da 1 metro di diametro, ispirate all’Echinocactus, il cosiddetto “Cuscino della suocera”. Uso la tecnologia per esaltare il mio saper fare, creo oggetti felici, che mi danno gioia e che rispondono ai bisogni dei committenti. Quando progetto su commissione amo cercare delle soluzioni stilisticamente riconoscibili, forme ironiche e molto colorate, che assomiglino un po’ alle persone che le comprano.

Quali sono i vantaggi delle tecniche di Digital Manufacturing?

Lavorando da sempre in auto-produzione e creando io stessa i prodotti artigianalmente, ho intuito subito le meravigliose possibilità offerte da queste tecnologie. La manifattura digitale mi ha permesso di fondere le capacità che avevo, per creare dei prodotti unici dalle forme complesse, unendo la progettazione al computer, la produzione e la finitura artigianale. Queste tecnologie hanno dato vita ad una nuova generazione di “artigiani digitali” di cui mi sento a pieno titolo di far parte.

Ho iniziato utilizzando il taglio laser, creando dei tavoli da salotto con il piano in Plexiglass intagliato (Bonsai Table del 2008) che ho poi esposto durante le mie prime partecipazioni al Fuorisalone di Milano e alla Design Week di Londra. Poco dopo ho conosciuto Wasp, che presentava le sue prime stampanti 3D a forma di macchina da cucire; ho cominciato a seguirli e appena hanno creato la prima stampante Delta – di dimensioni accettabili per i miei scopi – ne ho comprata una. Negli anni precedenti avevo creato alcuni progetti pensati per la stampa 3D ma i costi di produzione tramite service erano troppo alti per realizzare prodotti da vendere. L’acquisto della Delta4070 è stato per me un punto di svolta decisivo, sia dal punto di vista creativo che lavorativo. Con la stampante ho potuto creare forme impossibili da replicare con le normali tecniche di produzione. Inoltre la possibilità di testare, correggere, migliorare e, dunque, sperimentare, sono di fondamentale aiuto per affinare la qualità dei prodotti e innalzare il livello creativo della proposta. Fare aiuta a pensare meglio, un designer che crea da solo i propri prodotti impara a progettarli con più cura e a prevenirne le criticità.  Queste macchine consentono di passare in pochissimo tempo dall’idea all’oggetto, una cosa impensabile fino a pochi anni fa, e permettono a costi ridotti di realizzare molti prototipi, rendendo possibile una maggiore varietà nella proposta al cliente.  Un altro vantaggio da considerare è quello della personalizzazione: queste tecnologie consentono di produrre esemplari con notevoli differenze senza costi, dal banale cambio colore o dimensione, sino a trame o forme uniche. Per il designer si crea così un ruolo nuovo, meno rigido. Giocare con il cliente, personalizzare il suo prodotto sulla base di specifici gusti ed esigenze dà vita ad una varietà infinita di soluzioni con cui il designer potrà confrontarsi, passando dalla mentalità della produzione di massa alla ricchezza della “personalizzazione di massa”.

Che risultati hai ottenuto e a quali mete ambisci?

Ho scommesso da subito sulle possibilità del ruolo di artigiana digitale e già Desert Light,  la prima linea di lampade creata unendo stampa 3D, lavorazione artigianale e materiali ecologici (bio-plastica in questo caso) mi ha portata a Macao, dove sono stata selezionata per la fiera Design and Life nel 2015. Grazie alla combinazione alla base della mia proposta, sono stata selezionata in altre due fiere cinesi, a Shenzhen e Xiamen, e ho esposto alla Design Week di Londra e Milano. Ho iniziato a collaborare con l’aziena Eumakers, produttrice di filamenti per la stampa 3D (ottenuti da sacchetti di plastica riciclati ndr), per la quale ho disegnato 9 prodotti della linea Eumakeit e con cui sto portando avanti un nuovo progetto che sarà presentato a Maison & Object a Parigi nel prossimo autunno.

Attualmente sto lavorando a un passaggio di scala per la mia produzione: voglio creare un’azienda che porti una reale alternativa ecologica nel settore dell’arredamento. Il Bio e l’Eco sono ormai presenti in tutti i settori: cosmesi, food, abbigliamento. Manca ancora un marchio che proponga arredi con materiali ecologici al di là del legno. Un brand che sappia fare da anello tra chi sperimenta e pensa nuovi materiali e il cliente che richieste un’alternativa alle plastiche e altri materiali con finiture chimiche. Ho sempre pensato che i designer e in generale chi “produce” qualcosa, abbia la responsabilità di ciò che genera per l’ambiente, sia durante la produzione che nell’oggetto finito. Il forte entusiasmo che metto nel mio lavoro non viene solo dalla possibilità creativa e dalla gioia di fare, ma anche dal desiderio di compiere qualcosa per il bene dell’ambiente e delle persone. Creare prodotti sani e a basso impatto ambientale è oggi più che mai un obbligo morale: la sfida è quella di stimolare la sensibilità delle persone anche sul rapporto tra creazione di arredi e inquinamento, in modo che sia il mercato stesso a chiedere alle aziende un passaggio all’ecologico. A mio avviso, le produzioni Made in Italy sono privilegiate nel veicolare contenuti di questo tipo, perchè il prodotto italiano è accompagnato da una grande cultura tecnica e relazionale.  Poichè il racconto del prodotto è parte integrante del valore che il cliente acquista, ho la possibilità di narrare la vocazione dei miei progetti, l’anima che sta dietro agli oggetti e l’importanza del processo produttivo per raggiungere il risultato ottimale.

Grazie Serena per l’entusiasmo che metti nel tuo lavoro e nei progetti che hai in mente. Hai ragione: è fondamentale oggi che sia il cliente che il designer siano consapevoli che ogni processo produttivo e oggetto finito ha un impatto sull’ambiente. E che questo impatto dev’essere il più vicino allo zero sia nella scelta delle tecniche che in quella dei materiali. In bocca al lupo per i tuoi progetti futuri!